Un quaderno a righe, di quelli spessi, con la copertina foderata di plastica trasparente colorata: è stato il compagno dei miei pensieri dal dicembre 1967 al luglio 1968, quasi trecento pagine che conservano tracce discontinue di alcune esperienze ed emozioni dei tredici anni; la memoria di quei giorni è affidata a una scrittura un po’ disordinata, a molti schizzi e disegni dal tratto fumettistico, a volte caricaturale; il mondo dell’adolescenza affiora dietro il linguaggio dallo stile acerbo, che "sbanda" tra espressioni infantili e vezzi letterari, di diretta ispirazione ginnasiale; sia pure indulgendo in qualche minuziosa descrizione di troppo, o in divaganti pedanterie, la narrazione rivela episodi che, riletti oggi, tornano alla mente con particolare immediatezza.
Uno, in particolare, appartiene a tutti i Ferri della mia famiglia: sono le oltre venti pagine di quaderno nelle quali è narrata l’esperienza, tutta speciale per un giovanotto nato e cresciuto in Alto Adige, di un capodanno a Roma, con il "clan" quasi al completo.
La ripropongo così com’è, e sono certo che molti sapranno ritrovare l’atmosfera del tempo in cui i cugini erano piccoli e gli zii erano grandi.
1967.
Venerdì 29 dicembre
Appena svegliati, il papà ci ha dato una bella notizia: "Domani andiamo a Roma, e quindi fate subito i compiti..."
Sabato 30 dicembre
Ci siamo alzati alle cinqe e tre quarti e dopo un’ora e mezza di accanito lavoro (nel senso di lavarsi, vestirsi, ecc. ...) siamo partiti alle sette e un quarto.
Siamo giunti dai nonni verso le sei: qui ho rivisto mio zio Paolo con mia zia Rosetta e il cugino Francesco di 10 anni. Poi siamo andati dalla zia Vanna e qui ho conosciuto per la prima volta i cugini Paolo, Michela, Bruno, Luigi e Giovanni. Lo zio Aldo è il capofamiglia e ci ha fatto visitare la roulotte (segue minuziosa descrizione della roulotte) ... abbiamo cenato dalla zia Vanna, una cena che, tra intervalli, spostamenti, interruzioni e ritardi è durata fino alle undici. Tra coloro che hanno contribuito a ritardare il pasto c’era Pippo, cane di casa, che intralciava in continuazione, sia in cucina, sia in sala, sia nei corridoi.
L’indomani, in casa dello zio Franco, ci sarebbe stato il veglione di mezzanotte ...
Domenica 31 dicembre
Mi sono svegliato verso le otto e quaranta, ho fatto colazione, poi sono andato dai nonni. Qui sono stato un po’ con Francesco ... sono andato dalla zia Antonietta, che abita nello stesso edificio dei nonni... è inutile continuare con questo racconto: le giornate sono state pienissime di avvenimenti che, tuttavia, sono privi di interesse narrativo.
Di rilevante, prima del gran festone di capodanno, c’è la passeggiata che papà ha fatto fare a me, Cristina e Francesco; non mi è molto chiaro il giro che abbiamo fatto ... (segue disegno ipotetico dell’itinerario) ... Roma è immensa, e per me, che la conosco solo per qualche visita ai nonni, è come un labirinto. Piena zeppa di monumenti, essa occupa un’area sterminata, ed è difficilissimo conoscere la dislocazione di ciascuno di essi.
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La mezzanotte di capodanno è stata fenomenale.
C’erano tutti: Gianco, Andreuccio, Claudia, Livia, Francesco, Luigi, Bruno, Giovanni, Michela, Aldo (che dormiva), un certo Antonino, figlio della sorella della zia Carmela, madre di Gianco e dei suoi fratelli. Poi c’erano pure lo zio Franco, lo zio Paolo, la zia Antonietta, col marito Gianfranco e i figli Carlo e Alessandro; c’erano nonni, zii, zie, cugini, parenti d’ogni grado ed età.
La casa era piena di persone e ogni zio, anche se non l’avrò presentato, si presenterà da sè, perché è un’impresa anche per me riconoscerli tutti.
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C’era un unico corridoio che s’insinuava con strette curve tra le camere ...
Eravamo tutti in terrazza quando, appena sparati i botti d’inaugurazione, corse la voce: "a tavola! a tavola!".
Come un sol uomo, tutti i cugini ci buttammo nel corridoio: sembravamo un fiume umano che con violenza cercava di arrivare per primo, con una precipitosa corsa per zone strette e tortuose: ci si buttava, si gridava, si urlava e in un attimo arrivammo intorno a una tavola da pranzo.
Come briganti e senza troppi riguardi ci pigliammo un posto a sedere e attendemmo impazientemente che Antonietta (la cameriera, che non aveva nulla a che vedere con la zia), aiutata dallo zio Franco (e non Gianfranco, che a sua volta non ha nulla a che fare con Gianco, figlio dello zio Franco!), portasse in tavola qualcosa.
Papà andò a un’altra festa, questa per grandi, organizzata dallo zio Arnaldo ...
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Dalle otto a mezzanotte è durata quella che si può definire "la più lunga cena dell’anno" ... (segue citazione delle portate, dalle paste al formaggio di papà, alla carne arrostita al grill dello zio Aldo).
Mentre con Andrea prima, e con Gianco poi, bevevamo e facevamo gli "sbronzi", Cristina portava in sala il mangiadischi e teneva occupata metà sala col ballo dei suoi "fans".
L’altra metà guardava con interesse curioso la coppia Michela-Paolo che cantava canzonette.
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Ogni tanto, per ricaricarmi, mi sedevo su un divano accanto ai nonni, che guardavano divertiti la baraonda creata da questa nuova generazione, scambiavamo quattro chiacchiere, e mi rituffavo con gioia sfrenata nella confusione.
Ogni tanto Cristina spariva: potevo trovarla in una camera, ricovero di quei pochi che desideravano un po’ di pace, a ballare "seriamente" i dischi della Caselli, oppure in giro per tutto l’attico, sulla terrazza e nelle sale, girovagando col mangiadischi a tutto volume e ... (segue espressione oscura e poco comprensibile)
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Lo zio Gianfranco tentò di venire su e, appena ha azzardato l’idea di scappare, noi tutti e sedici i cugini (e non eravamo tutti!) gli abbiamo bloccato l’uscita e poi, quattro o cinque, tra cui io, siamo entrati nella sua Cinquecento, e ci son voluti gli sforzi di tre zii, più gli altri cugini, per tirarci fuori.
Avremo fatto sù e giù con l’ascensore di quella casa almeno dieci volte, e tutte le volte le lotte per appropriarsi di un posto nell’ascensore, le corse di chi rimaneva fuori per fare più presto, le guerre per entrare per primi, buttandosi addosso violentemente gli uni agli altri, fino a poter dire "i casi sono due: o crolla la casa, o qualcuno si amazza!".
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Già cominciavano per Roma i primi scoppi, le esplosioni, i fuochi d’artificio ... ne avevamo pure noi, e a meno quindici minuti cominciammo: dapprima seminammo il balcone di castagnole, fuochi a più scariche che si concludono con una fumogena densissima... (segue disegno delle castagnole in azione) ...sembravano una mitragliata; ne abbiamo messe cinque in una stessa balconata, e non sapevamo più da che parte andare: da un lato il muro invalicabile di fumo, dall’altra continue girandole multicolori che, lanciando faville ovunque, seminavano il panico tra noi, che non sapevamo come schivarle ... (io ne uscii poco dopo con una coraggiosa corsa tra le castagnole) ... (seguono, con relativi disegni, minuziose descrizioni di petardi, tubi lanciasiluri, bombe) ... ne abbiamo fatte saltare due su una balconata; conseguenza: il vetro della ringhiera sfondato, le mattonelle del pavimento rotte. Allorché uno zio (non ricordo bene quale) disse: "Qui, se non andate in strada, fate crollare la casa!".
Intanto tutta Roma esultava e salutava il 1968, che era vicinissimo, con fuochi e spari di ogni genere: lo spettacolo continuava!
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Roma era meravigliosa: una sterminata distesa di case appena riconoscibili nel buio, dalle quali si alzavano fuochi artificiali di tutti i colori, che sorgevano disordinatamente nella notte serena, qua e là esplodendo e illuminando angoli di città.
La notte era calda, non umida, e invitava a stare fuori, nei piani più alti a godersi lo spettacolo ...
Mancavano pochi secondi alla mezzanotte: meno cinque, quattro, tre, due, uno, zero! (segue disegno del volo dei tappi di champagne)
Evviva il 1968!
Lunedì 1 gennaio.
Dopo la cincinnata rituale abbiamo fatto esplodere qualche bomba in balcone e poi giù in strada. Abbiamo fatto saltare le ultime bombe che rimanevano ... poi tutti si sono messi in circolo intorno a Michela e Cristina per fare il "Tubighi; Michela e Cristina erano i dicitori:
DICITORE: "O che è, o che non è?"
ALTRI: "E’!"
DICITORE: "Per l’anno nuovo: nada?"
ALTRI: "Todo!"
DICITORE: "Tubighi?"
ALTRI: "Bighi!"
TUTTI INSIEME: "Tubighi, bighi, bighi! He! He! He! He! Ha! A! Ci! Bum! Iaaaaaaaaeeeeeeh!!!"
Tra una corata e l’altra, innumerevoli sono state le corse, le lotte per appropriarsi di un posto in ascensore, o per arrivare primi.
Insomma, facemmo l’una e trenta quando lo zio Aldo ci portò tutti a casa.
Andai a dormire in roulotte dove, leggendo un pò, attesi l’arrivo di mio padre dalla festa che, per quello che ho sentito dire, dev’essere stata una pizza!
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Ci siamo svegliati verso le dieci e siamo andati dai nonni. Sono andato a messa nella parrocchia di S. Gaetano, una chiesa ricavata da tre negozi, allestita alla meno peggio, in attesa della costruzione della parrochhia grande...(segue citazione del pranzo dai nonni, del pomeriggio dallo zio Aldo giocando con i cugini) ... a sera ero molto stanco e mi sono addormentato subito (dopo il film in televisione, s’intende!).
Martedì 2 gennaio.
L’ultima notte romana iniziò quando andammo a letto verso le undici, sempre in roulotte; abbiamo letto fino a mezzanotte, quindi abbiamo spento la luce. Dopo un poco ho avvertito come una difficoltà di respirazione; chiesi al papà se non fosse il caso di spegnere la stufa a gas per evitare fughe. Uscii a spegnere le bombole (che sono esterne) e quando rientrai il papà disse: "stanotte avremo freddo". Forse la mia era solo un’impressione, però meglio dormire la freddo, che non dormire per la paura del gas!
Durante la notte mi svegliai due o tre volte per il freddo e la mattina mi vestii tutto raffreddato e corsi in casa.
Dopo esserci accomiatati da tutti, partimmo verso le dieci e inziammo quel massacrante viaggio, continuamente rallentato dalla neve e dal gelo, che sarebbe l’ultima causa della nostra influenza, la "Roma 1968"!
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